"Poesia e scienza"

dall’introduzione del libretto allegato

La metà del diciannovesimo secolo, l’epoca eroica delle grandi esplorazioni geografiche e naturalistiche, fu al contempo – non del tutto casualmente, forse – la stagione che vide i passi più intraprendenti verso la definizione di una mappatura delle aree cerebrali. Equatori celati da nebbiose foreste malariche e circonvoluzioni impraticabili nelle loro introversioni venivano raggiunte contemporaneamente dal machete e dal bisturi di spregiudicati ricercatori. Pierre Paul Broca pubblica il suoi risultati più significativi sull’afasia nel 1861, due anni dopo l’opus magnum di Darwin. Nel giro di un secolo questi due ambiziosi programmi di ricerca trovarono un punto di mutuo soccorso nella definizione della lateralizzazione funzionale del cervello, messa alla prova decisiva dalle operazioni di Roger W. Sperry, che stabilì sperimentalmente una cosa che i mitografi, i poeti e i filosofi affermavano di sapere da sempre: che ci sono due anime nell’uomo; o meglio, nel cervello. Con un po’ di semplificazione, un’anima razionale, facente riferimento a un ‘hardware’ collocato nell’emisfero sinistro, e una intuitiva, ripartita a destra, in una modularità frutto di un sorprendente progresso evolutivo. 

A quel punto l’uomo occidentale si dovette rassegnare definitivamente, ancor più sgomento che in seguito alla minacciosa topografia freudiana, a non essere uniforme, a non essere omogeneo, al vulnus  di una solutio countinui che aveva scisso per sempre la pangea della dura madre terra come il suddiviso regno di Re Lear,rendendolo straniero a se stesso. Si ripresentò a maturazione la mela ermafrodita di Platone, a vantare una preveggenza trascurata; dicotomie pitagoriche e oscure cosmogonie ebbero diritto di ingresso a palazzo, pur nelle loro vesti bizzarre; censori  illustri concessero cittadinanza sociale a comunità precedentemente tollerate all’interno dell’impero scientifico solo come personale di servizio; ci si convinse a preferire la conversazione di Venerdì a quella del dott. Crusoe, i salotti iniziarono a contendersi Hyde e a respingere il biglietto del  dott. Jeckill; la simmetria rinascimentale perse la sua più nobile aderenza e prese a cadere in disgrazia in tutte le arti, tornando a spaventare, in luogo di confortare; alcuni scrittori, anche in assenza di protezioni metafisiche ebbero la loro soddisfazione sull’esprit de géométrie, e a scanso di processi. Alla fine, anche il misterioso Egizio, rinchiuso al British Museum, riebbe la sua libertà, ed uscì a prendere aria a Trafalgar Square, spaventando tutti tranne poeti e romanzieri, già abituati da tempo alla sua intrinsecità –  ma in fondo chissà quanto sorpresi essi stessi di aver avuto fiuto a frequentarlo quando non era nessuno

Emily Dickinson, nel 1864, dal suo laboratorio – in anticipo sui tempi  quanto a igiene ambientale e purezza di strumenti, aveva già prefigurato nel suo camice bianco questo sentimento:

Mi parve che la mente mi si dividesse – 

Come se il cervello in due si spaccasse –

provai a ricomporlo – orlo a orlo –

Ma non riuscivo, le parti, a collimare.

I pensieri cercai di collegare,

quello passato a quello che seguiva –

Ma la sequenza, in silenzio, come

gomitoli, su di un pavimento, si aggrovigliava. (1)

A proposito della preveggenza spirituale di E.D.,  ha scritto un grande neuroscienziato contemporaneo, Gerald M. Edelman: “Il titolo del libro (Più grande del cielo, n.d.r. Einaudi) è un verso di Emily Dickinson, tratto dalla poesia che ho scelto come epigrafe. La poesia fu scritta intorno al 1862, prima della nascita delle neuroscienze moderne, verso la fine del XIX secolo. Mi pare stupefacente che la Dickinson, magnificando l’ampiezza e la profondità della mente, si riferisse soltanto al cervello”.

Buddha e Confucio

Due emisferi, quindi. Poesia e Scienza. Le operazioni possibili con questi due termini sono in fondo limitate. Prima operazione: Continuità, vale a dire prosecuzione con altri mezzi dello stesso fine: come la chimica con l’alchimia, o in senso opposto la direttrice Cartesio-Husserl-Heidegger. Una sequenza che può articolarsi talvolta anche all’interno del singolo individuo, vedi la curatela del Gran Libro della Natura – scritto in matematico e recato in lingua italiana dal suo stesso autore, Galilei; acquistando talvolta i modi del patema, della vaga schizofrenia: il matematico e filosofo inglese A. N. Whitehead nel 1925, sull’argomento, scriveva: “Ci si meraviglia spesso che un cinese possa avere due religioni, che possa essere confuciano in certe occasioni e buddista in altre. Non so se in Cina questo accada veramente, e non so neppure, nel caso sia così, se i due atteggiamenti siano davvero incoerenti. Non vi è invece alcun dubbio che un fatto analogo ha luogo veramente in Occidente e che i due atteggiamenti che esso comporta sono incoerenti (2). Seconda operazione: Esclusione: Reciproca, fino all’ostilità. Qui il riferimento più frequentato va al saggio di C. P. Snow del 1959 intitolato con chiarezza ‘Le due culture’. Terza operazione:Composizione, o nella forma  della ricerca incontentabile di coerenza, o nella forma paradossale dell’amore per la vertigine insuturata, dell’accettazione dell’Ecce homo; pronti ad ascoltare qualunque sincera testimonianza in un processo infinito che diffida delle sue stesse sentenze.

(1) (trad. it. Barbara Lanati – Silenzi, Feltrinelli 2005) 

(2) (A. N. Whitehead: “La scienza e il mondo moderno”. Bollati Boringhieri, 1979) 

Roberto Freddi

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