In breve
Emily Dickinson (Amherst, Massachusetts 1830-1886), poetessa nordamericana, fra i suoi concittadini fu più conosciuta in vita come un’appassionata dilettante di piante e giardini, che come autrice di liriche. Oggi, servendoci della sintesi di uno dei più autorevoli critici letterari contemporanei, si inizia a dire che “eccezion fatta per Shakespeare, la Dickinson dà prova di maggiore originalità cognitiva di ogni altro poeta occidentale dopo Dante” (Harold Bloom, Il canone occidentale,1994).
L’accuratezza scientifica dell’Erbario della Dickinson non è episodica né personale, ma si presenta come il risultato di un ambiente, quello della Nuova Inghilterra di metà ottocento, in cui la botanica come scienza era considerata un cardine essenziale nell’educazione scolastica e, più in generale, uno strumento di grande valore esistenziale.
Un’impostazione che attraverso il magistero di Emerson ha segnato positivamente un’atmosfera culturale floridissima, dando alla storia della letteratura, oltre alla stessa Dickinson, poeti quali Thoreau, Whitman, Poe – tutti appassionati botanici – nonché Hawthorne, Melville e molti altri.
La mostra tende a dar conto di questo clima in cui la scienza era comunque e sempre la premessa, quando non la conclusione, del discorso culturale. In ciò ridando piena vita all’ammonimento che Platone volle come per la sua Accademia: ‘nessuno vi entri agheometricos’: scientificamente impreparato, si direbbe oggi; e in fondo ricordandoci la nascita della stessa parola ‘cultura’, che per Francesco Bacone, che ne battezzò l’accezione moderna, si legava alla scienza della coltivazione come una ‘georgica dell’anima’.
L’Erbario è stato pubblicato per la prima volta, in facsimile, dalla “Harvard University Press” nel 2006. Due pagine unite nell’opposizione creano nella pianta l’organo della foglia, vitale per il nutrimento, la comunicazione e il mantenimento dell’equilibrio con l’ambiente.
La stessa bilateralità caratteristica della parola-segno sul foglio di carta (nel folium, con metamorfosi contraria a quelle mitologiche, è la pianta a diventare umana); nonché della fisiologia cerebrale. Questa “ambiguità” – nell’accezione di “via doppia” – viene rappresentata con due elementi: uno spettacolo e una mostra.