Confidenze autobiografiche di un quasi-soggetto, Emily Dickinson forse, a partire da suo erbario.
di Martina Massari
Nello sfumare dei confini fra memoria e creazione, presente e passato, consapevolezza ed estraneità, Emily Dickinson, nella perplessità attonita di una vaga vita ultraterrena, si racconta. L’erbario giovanile diventa allora l’opportunità di un diario anticipato: e il commento coincide con la premonizione.
Non si avvia qui un processo di identificazione (del personaggio o dell’interprete), ma si festeggia un “a partire da”, nel senso più affettuoso di un salutarne la deriva infinita, come unico modo rimasto di riascoltare la voce della poetessa senza incorrere nelle malizie disinvolte del biografismo.
La poetessa, con l’onnisciente distacco dei trapassati, parla di sé: della sua fortuna letteraria, delle varie letture più o meno sorprendenti di cui è stata fatta oggetto; per finire col presentare più attentamente il proprio erbario giovanile, antesignano dell’altra sua più nota antologia, quella poetica.
Nell’Anfiteatro del Museo Doria, attiguo al salone delle Mostre.