Festival della Scienza Blog

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Blogger d’assalto al Festival della Scienza 2007

31 Ottobre 2007

Sfogliando i fiori tra scienza e poesia – L’erbario di Emily Dickinson

Scritto da Maddalena Grattarola

Il museo di Storia Naturale G. Doria è stata la meta fissa della maggior parte dei miei sabati d’infanzia, quando tutto sembrava enorme, e lo scheletro del T-rex era la cosa più morta e antica che riuscissi ad immaginare. Rientrare dopo anni, nastro rosso del Festival della scienza al collo, ha lasciato immutata solo la sfera olfattiva: l’odore denso di animali imbalsamati è lo stesso che, ora come allora, segna l’ingresso nel mondo fisso e sospeso delle vetrine del museo.
In questa sede il Festival della Scienza promuove un doppio evento intorno alla figura di Emily Dickinson: Pagina, mostra costruita intorno all’Erbario della poetessa, e Cronache dall’Eden, spettacolo sulle confidenze autobiografiche di un quasi-soggetto.

O me! O vita! Domande come queste mi perseguono,
D’infiniti cortei d’infedeli, città gremite di stolti,
[…]
La domanda, ahimè, che così triste mi persegue – che v’è di buono in tutto questo, o vita, o me?
Risposta.
Che tu sei qui – che esistono la vita e l’individuo,
Che il potente spettacolo continua, e che tu puoi contribuirvi con un tuo verso.

Walt Whitman

Prima ancora di entrare dentro, la domanda pulsa insistente. Emily Dickinson – pausa – al Festival della Scienza? In realtà è retorica. Ormai è noto e chiaro, specie dopo anni di letterature straniere, che non c’è gap netto tra i due regni del conoscere. Non è un salto nel buio quello da fare per entrare nella stanza della mostra. Al contrario, è un deciso e ponderato bridging tra poesia, filosofia e scienza. Dunque la porta si apre e dalla stasi imbalsamata della formaldeide si scivola tra le note soffuse del pianoforte e l’odore di poesia.

Per entrare nel vivo dell’allestimento devi scostare una tenda di carta, devi separarne i lembi e spezzare la perfezione della stampa degli incipit delle 1755 poesie della padrona di casa. Osiamo? Certamente, entriamo muniti della stessa freddezza scientifica con cui Emily classificava specie di fiori e piante nel suo erbario. Il link più superficiale è proprio questo, il fatto che la ragazza di Amherst fosse nota tra i suoi concittadini più come botanica che come poetessa. Cresciuta nell’ambiente colto della Nuova Inghilterra di metà Ottocento, la Dickinson raggiunge un’accuratezza scientifica di notevole livello, e si inserisce nel filone poetico in cui si trovano, tra gli altri, Emerson, Whitman, Thoreau, Hawthorne e Melville.
La matrice della sua poesia non può quindi prescindere da una pulizia stilistica e semantica di netta derivazione scientifica, senza mai essere tuttavia né arida, né impersonale.

Abbiamo passato la parete di parole, camminiamo su un prato bianco, fruscio di carta sotto ai nostri piedi. Pannelli pendono da uno scheletro di struttura formato da sottili tubi metallici. L’erbario di Emily ci fissa dall’alto, verticale come un mazzo di fiori in fase di essiccamento. Le raffigurazioni provengono proprio dall’Erbario – pubblicato per la prima volta dalla Harvard University Press nel 2006 – e sono affiancate a pannelli informativi, della stessa dimensione.

Ricordate la carta per terra, sta sussurrando qualcosa mentre passate sopra, associatela alle note del piano di sottofondo, procedete ora avanti, oltre il primo pannello, prima che il percorso obbligato dell’allestimento – fatto di pieni e vuoti – vi costringa a girare e confrontarvi con la vostra immagine riflessa.
Dunque ricapitolando. Doppia è la visione fornita dalla poetessa – scientifica e letteraria -, doppio è stato pensato l’evento su di lei – mostra-allestimento e spettacolo -, di vostri doppi, infine, si riempirà la casa di parole in cui muoverete passi e pensieri.

I pannelli sono idealmente divisi in quattro sezioni: una zona scientifica che riporta definizioni di elementi di botanica, una dedicata alle poesie di Emily e le due sottostanti riservati ai grandi della letteratura o, spesso, una a un filosofo di scuola continentale e l’altra a uno di matrice analitica. Compresenze e opposizioni. I titoli dei pannelli esplicitano alcune delle sotto correnti individuabili in questa mostra (ad esempio uno – molteplice, singolo – categoria, caducità vita – fiore, etc), mentre su una parete-specchio si può osservare la formula dell’esistenza di Dio di Gödel, spalla a spalla con una poesia della Dickinson. Due dei quattro angoli della stanza, infine, sono circondati da un telone nero, in netto contrasto con il biancore del pavimento cartaceo e del conseguente riflesso infinitamente riproposto dagli specchi. I due vani neri custodiscono degli schermi in cui scorrono immagini di fiori, fotografati proprio in quelle stesse zone in cui un tempo Emily coglieva fiori e parole, il Massachusetts.

Ok, questo è stato il giro in solitaria, quello che ogni vero aspirante poeta dovrebbe fare: camminare, osservare, interrogarsi. Tuttavia, avere l’insolita possibilità di parlare direttamente con l’artefice e organizzatore di questo gioiello di comparatistica moderna ha permesso un secondo ripercorrere del medesimo sentiero. Con occhi diversi.

[849]
The good Will of a Flower
The Man who would possess
Must first present
Certificate
Of minted Holiness.

Emily Dickinson

Roberto Freddi è calmo, di una posatezza invidiabile, oltre che immensamente disponibile e paziente. Mi accompagna di nuovo attraverso la tenda di parole di Emily e, mentre racconta, mi indica le diverse lenti possibili attraverso cui guardare la sua creatura. Sottolinea il fatto che sia un allestimento, un work in progress. Pagina, al prossimo museo che incontrerà, sarà diversa: avrà cartongesso al posto degli specchi, tubi più solidi, forse un pavimento e, chi può dire, le fondamenta di un secondo piano.

Secondo Heidegger “poeticamente abita l’uomo“: le due azioni principali compiute dall’essere umano, le due impronte chiave del nostro percorso, sono proprio il costruire e il coltivare. Chi meglio del poeta sa raccogliere in sé tale coppia di attività? Dove, se non nel poetare, sono così evidenti e – quasi – complementari? La poesia consente l’abitare e questa mostra-casa vuole avere un valore concettuale molto forte, vuole coniugare poesia e scienza.
Tale rapporto di opposti che si toccano – botanica e verbo – è un sistema qui impostato solo a livello operazionale, vuole restare aperto a influenze future: allestimento dopo allestimento la casa prenderà forma, intrecciando discipline, materiali e riempiendo i suoi 12 metri di diametro – particolare che riprende il numero esatto di pietre su cui è costruita la Gerusalemme Celeste, secondo l’Apocalisse di San Giovanni, e che sembra citare l’ingegneria poetica adottata dalla Dickinson nel suo corpus d’opera.

Per quanto riguarda lo spettacolo, invece, Freddi sottolinea come Emily Dickinson viva di un culto, tra i suoi lettori, paragonabile solo a quello che esiste intorno alla figura di Proust. Proprio per questo la piece, fin dal titolo, esplicita che si tratta di un quasi-soggetto, adottando quindi un artificio letterario che permette di trattare di Emily Dickinson attraverso una finzione. Sul palco non c’è dunque Emily Dickinson, né una sua rappresentazione fedele e meticolosamente ricalcata dalla biografia. L’intero monologo vuole essere un omaggio alla sua figura e opera, un discorrere attorno a ciò che la poetessa è stata ed è diventata, una retrospettiva fuori sincrono – ma parallela – rispetto all’allestimento Pagina.

Ciò che ne risulta è uno spettacolo profondo, in grado di offrire allo spettatore un approccio multilaterale all’opera di Emily Dickinson, oltre che una seconda chiave di lettura – mutuata dalla mostra – che incornicia perfettamente il senso salvifico della letteratura e il suo essere eleggibile a strumento di ricostruzione del mondo.

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